Glastonbury: magia, miti e leggende

Oggi vi proponiamo la visita all’Abbazia di Glastonbury, nel Somerset, in Inghilterra. Anche se si trova in rovina, è un luogo fortemente evocativo, unico, dove magia, miti, storia e leggende si rincorrono e s’intersecano, si perdono e si ritrovano.

Glastonbury Abbey
Glastonbury Abbey

Vi avvisiamo: l’articolo è forse un poco lungo, ma se come noi siete affascinati dalle leggende, sedetevi comodi e continuate la lettura. Glastombury ha così tante fantastiche storie da raccontare… Incominciamo con qualche cosa di semplice.

La storia

L’Abbazia di Glastonbury fu una delle più ricche e potenti strutture monastiche. Il primo impianto dell’abbazia potrebbe essere stato effettuato dai Bretoni nel VII secolo d.C., probabilmente sui resti di un edificio preesistente. Tuttavia, leggende cristiane più tarde, in pieno periodo medievale, asserirono che la abbazia era stata fondata molto prima da Giuseppe di Arimatea nel I sec.

Questa primitiva “cappella di canne” (chiamata in seguito “Old Church”, ossia la “vecchia chiesa”), potrebbe dunque essere stato il primo edificio che i Bretoni trovarono sul posto e sul quale eressero un monastero, a sua volta primo nucleo della futura Lady Chapel. Ai Bretoni, nell’VIII sec., successero i Sassoni, e a questi, nell’XI sec., subentrarono i Normanni. Con la dominazione normanna, l’abbazia aveva già raggiunto una notevole fama e ricchezza, tuttavia la sua fortuna si arrestò in seguito ad un terribile incendio che nel 1184 distrusse gran parte degli edifici monastici.

La cucina dell’abate (Abbot’s Kitchen) è unico edificio interamente sopravvissuto alla distruzione. La sua grandiosità ben dimostra la ricchezza che aveva raggiunto l’abbazia all’apice della sua evoluzione

Abbot's Kitchen
Abbot’s Kitchen

Con il favorevole appoggio di re Enrico II, la comunità di Glastonbury cominciò la sua ricostruzione, favorita anche (come vedremo) dal ritrovamento fortuito della tomba di re Artù, che garantì al complesso una rinnovata fama ed un cospicuo afflusso di pellegrini e di danaro. A questo periodo risale la costruzione della Lady’s Chapel in pietra. In seguito, il complesso crebbe ancora fino a diventare una vasta abbazia benedettina, che nel XIV era diventata la seconda per dimensioni ed importanza d’Inghilterra, dopo quella di Westminster a Londra.

Come tante altre abbazie inglesi, anche il destino di Glastonbury fu definitivamente segnato dalla Dissoluzione dei Monasteri operata da Enrico VIII, a partire dal 1536. La Riforma colpì duramente il complesso di Glastonbury, che venne largamente distrutto e l’ultimo dei suoi abati, Richard Whiting (abate dal 1525 al 1539), venne appeso e squartato sul Tor insieme a due dei suoi monaci.

Le rovine che oggi ne rimangono, acquistate nel 1908 dalla diocesi di Bath e Wells, costituiscono una meta turistica frequentata ogni anno da migliaia di visitatori. Alcune prestigiose figure della cristianità bretone furono associate all’abbazia di Glastonbury; in particolare San Patrizio, il primo abate nel V sec., che diventerà il patrono dell’Irlanda, e San Dunstano, abate dal 940 al 946.

Come si vede, per quanto si cerchi di essere “obbiettivamente storici”, è praticamente impossibile non inserire dei caratteri leggendari.

Magia e leggende.

Appena siamo entrati nel parco che ospita le rovine dell’Abbazia, abbiamo capito di trovarci in un luogo straordinario: esteriormente, per quanto impressionanti, le vecchie mura non avevano niente di diverso dai resti di altre chiese che avevamo visto, una tra tutte la St Andrews Cathedral.

In realtà, Glastonbury è talmente ricca di leggende e misticismo che si intrecciano attraverso gran parte di ciò che si vede e vive qui, che è impossibile non rimanerne profondamente impressionati.

Glastonbury Tor ed il Sacro Graal

La magia ha radici molto profonde e guada verso la collina che sovrasta la piana chiamata Glastonbury Tor. Tor è una parola inglese usata per indicare una grande roccia sporgente o una collina, e deriva dal termine torr, usato nell’antico inglese. Il nome celtico della collina era Ynys Wydryn o Ynys Gutrin che significa “Isola di vetro”: in effetti, nei tempi antichi la pianura era allagata e la collina si trasformava da isola a penisola con la bassa marea. Tenete ben presente questo aspetto che sarà fondamentale nella leggenda di Re Artù.

Glastonbury Tor
Glastonbury Tor

La collina, di forma conica, è costituita da strati di calcare e peliti e si innalza nella pianura circostante (Somerset Levels). La sua formazione si deve all’erosione dei più soffici depositi circostanti, che ha lasciato scoperta la cima, composta da roccia arenaria. Le pendici della collina presentano sette terrazzamenti profondi e approssimativamente simmetrici. La loro formazione rimane un mistero con diverse possibili spiegazioni.

Potrebbero essersi formate come risultato della differenziazione tra i diversi strati di roccia e argilla, sfruttate in seguito dai contadini durante il Medioevo per la loro maggiore facilità di lavorazione. Tuttavia, se l’agricoltura è la causa di questo fenomeno, ci si aspetterebbe che gli sforzi si fossero concentrati sul lato meridionale della collina, dove le terre più soleggiate avrebbero potuto fornire una maggior resa; i terrazzamenti hanno invece la stessa profondità sul lato settentrionale, capace di offrire scarsi benefici. Inoltre, nessun’altra altura della penisola è stata terrazzata, nemmeno dove luoghi più riparati avrebbero potuto dare una maggiore ricompensa al lavoro effettuato.

Tra le altre spiegazioni proposte per la presenza dei terrazzamenti figurano quelle che indicano in esse delle opere di carattere difensivo. Altre fortezze d’altura dell’età del ferro, tra cui il vicino Cadbury Castle, presentano tracce di fortificazioni alle loro pendici. La normale forma di un bastione è costituita da un argine e un fossato, ma non c’è alcuna evidenza di tale struttura sulla collina. Inoltre, Glastonbury Tor presenta uno spazio estremamente ridotto in cima, inadatto a porre al riparo un’intera comunità.

L’archeologo Ralegh Radford ha proposto che l’intero sistema facesse parte di un grande santuario celtico, probabilmente risalente al III secolo a.C. I Celti credevano infatti che Glastonbury Tor fosse la porta d’ingresso al cielo, ovvero la via di passaggio verso il mondo dell’oltretomba o di un’altra dimensione.

Le teorie esoteriche moderne che si occupano delle linee geomagnetiche naturali nella terra (ley lines) stabiliscono che una di esse in particolare, chiamata ‘La linea di Michael’, corra giù dal Tor per poi passare attraverso gli altri siti principali di Glastonbury: Chalice Well, Abbey e Wearyall Hill. Insomma: il Tor ha un’importanza magica rilevante.

Il fatto poi che sia soggetto ad un effetto visivo conosciuto come Fata Morgana, quando cioè l’altura sembra elevarsi dalla nebbia, non può che rendere il luogo tremendamente incantato. Il vero coplevole di questo fenomeno ottico è però il terreno umido alla base della collina e si verifica quando i raggi di luce sono fortemente incurvati dal passaggio attraverso strati d’aria di differenti temperature e in condizioni di inversione termica.

Calice Well
Calice Well

Una leggenda lega Giuseppe d’Arimatea al Tor: viaggiando in Gran Bretagna, egli portò con sé il Santo Graal (il calice usato da Cristo nell’Ultima Cena), di cui ne era custode, per seppellirlo in un luogo segreto. Si dice che lo fece proprio nei cunicoli sotterranei della Tor Hill. Da quel momento, dell’acqua iniziò a scaturire dalla collina. La sorgente, nota appunto come Pozzo del Calice (Calice Well), è leggermente radioattiva e contiene ferro e talvolta si colora di rosso. Fu proprio la ricerca di questa Santa Reliquia che condusse Re Artù e i Cavalieri della Tavola Rotonda a giungere fin qui. Ma di questo parleremo più avanti.

Vale la pena farsi una bella passeggiata fino alla sommità dove, tre l’altro, potrete visitare la torre, unico elemento rimasto della chiesa di “San Michael” (ed ecco che ritorna il Michele) costruita nel XIV secolo e distrutta nel 1539.

Giuseppe d’Arimatea e la leggenda della Santa Spina

Un altro mito che si interseca saldamente con la cristianità del luogo è legato ancora alla figura di Giuseppe d’Arimatea. Si narra che fu proprio lui, a fondare la prima chiesa a Glastonbury.

Giuseppe d’Arimatea era un ricco discepolo di Gesù. Fornì anche la tomba dove fu deposto il Signore crocifisso fino alla sua risurrezione.

Dopo la morte di Gesù, la leggenda narra che Giuseppe accompagnò l’apostolo Filippo, Lazzaro, Maria Maddalena e altri in una missione di predicazione in Gallia. Lazzaro e Maria rimasero a Marsiglia, mentre gli altri continuarono il viaggio verso nord.

Alla Manica, San Filippo inviò Giuseppe, con dodici discepoli, a stabilire il cristianesimo nell’angolo più remoto dell’Impero Romano: l’isola della Gran Bretagna.

Con la sua barca, egli s’insinuò fin nelle paludi di Glastonbury. Insieme ai suoi seguaci, s’arrampicò su una collina vicina e, stanco per l’attraversata, si riposò piantando il suo bastone nel terreno. Questo bastone, un ramo cresciuto dalla Sacra Corona di Spine di Cristo, miracolosamente mise immediatamente radici.

Un albero di questa accuminata pianta oggi cresce rigoglioso all’interno del giardino abbaziale, e si dice sia stato trapiantato direttamente dall’originale. L’albero della Santa Spina, un biancospino, si trova vicino all’ingresso del complesso, nei pressi della Cappella di San Patrizio.

Il Biancospino della Santa Spina
Il Biancospino della Santa Spina

Gli inglesi hanno un profondo senso e rispetto delle loro tradizioni, tanto che ogni anno una spina viene tagliata per ornare la tavola di Natale della Regina.

Se questa storia vi pare fantastica, aspettate di leggere il seguito. Questa volta inseriremo nel complicato puzzle una pietra incastonata all’esterno della parete sud della Lady’s Chapel. Su di essa è ben leggibile ancora oggi l’iscrizione della dedica: “IESUS MARIA“.

Giuseppe d’Arimatea ed il “Secretum Domini”

La Lady’s Chapel è l’edificio più a sud del complesso abbaziale e ne costituisce il suo nucleo originario. Già sapete che, secondo una tradizione ben radicata nel Somerset, fu San Giuseppe di Arimatea a fondare la prima chiesa. Vi abbiamo però taciuto un piccolo particolare.

Giuseppe d'Arimatea
Perugino – Giuseppe d’Arimatea

Si dice che Giuseppe avesse già compiuto diversi viaggi fuori della Palestina, in particolare in Inghilterra, dove importava stagno dalle miniere della Cornovaglia. In uno di questi viaggi egli avrebbe portato con sé il piccolo Gesù; in quell’occasione avrebbe fatto realizzare una piccola chiesa di fango e rami intrecciati di salice. Gesù la volle dedicare a sua madre Maria. Il nome di Gesù e quello di Maria vennero scritti su una pietra, probabilmente quella di fondazione. Questa pietra venne poi inglobata nelle costruzioni successive, fino alla Lady’s Chapel del XIII sec. Fu largamente venerata durante il medioevo, al pari di una reliquia, costituendo stazione di sosta e di preghiera per i pellegrini.

Tuttavia, se quanto tramandato su questa pietra costituisce una base di verità, allora essa suscita una serie di inquietanti interrogativi, che portano a domandarsi sulla vera identità di quel Gesù e di quella Maria citati e all’inevitabile conclusione dell’esistenza di una linea di discendenza diretta da Gesù Cristo: la controversa “Linea di Sangue” della cui esistenza questa pietra potrebbe costituire una prova indiretta!

I resti della grande Abbazia

A chi non è piaciuto “Il Codice Da Vinci” alzi la mano. Nessuno? Bene: se siete curiosi, allora continuate nella lettura perché la cosa si fa un poco complicata, ma molto intrigante. Vediamo perché, seguendo le ipotesi e le linee di indagine delineate da Laurence Gardner nel saggio “La Linea di Sangue del Santo Graal“.

Secondo le cronache medievali, la vetusta ecclesia, ossia la primitiva capanna di fango e rami, non venne costruita prima dell’anno 63, e venne dedicata a Maria l’anno successivo, come attestano comunemente John Capgrave, William di Malmesbury e John di Glastonbury.

Per chi è bravo in matematica capire quel che scriveremo a breve sarà facile come bere un bicchiere d’acqua. Suggeriamo invece a quelli che hanno sempre bisticciato con questa disciplina – come la sottoscritta – di concentrarsi e di rileggere, se necessario, più volte i paragrafi che seguono: sono fondamentali per capire tutto il reso della storia.

Nel “De Sancto Joseph ab Arimathea” di Capgrave si afferma che “quindici anni dopo l’Assunzione egli – Giuseppe – si recò da Filippo, apostolo tra i Galli”. L’Assunzione della Vergine è comunemente attestata nell’anno 48 e San Filippo, secondo quanto afferma Freculfo, vescovo di Lisieux del IX sec., fu colui che organizzò la missione di predicazione in Inghilterra, affidandola proprio a Giuseppe di Arimatea. Per cui la missione di Giuseppe in Inghilterra cominciò nell’anno 63 (48 + 15).

Più avanti, il De Sancto Joseph afferma ancora che la dedicazione della cappella di canne avvenne nel “nel 31º anno dopo la Passione di Nostro Signore“, e cioè nell’anno 64 (33 anni di Cristo+31). Quest’informazione si conforma con quanto riporta Guglielmo di Malmesbury, che indica come data di costruzione della capanna l’anno 63. Ci siete? Bravi: andiamo avanti.

Giuseppe d’Arimatea era ritenuto parente stretto di Maria, in particolare suo zio, anche se i Vangeli canonici non citano mai questo rapporto di parentela e le altre fonti si limitano a dire che erano parenti. Un rapido calcolo, supponendo che Maria avesse circa 26 anni quando concepì Gesù e che Giuseppe poteva essere almeno una decina d’anni più anziano di lei, porta a supporre che Giuseppe era già piuttosto anziano ai tempi della Crocifissione e che l’inizio della sua nuova vita di predicazione in Britannia avvenne attorno al centesimo anno di età. Considerando, poi, che le cronache lo ritengono in vita per altri venti anni dopo quella data, ne risulta un Giuseppe estremamente longevo e insolitamente attivo!

Come poteva, poi, avere al suo seguito il piccolo Gesù, e far sì che questi dedicasse la chiesa alla propria madre Maria? E ancora. Gesù, il Cristo, era morto sulla croce 31 anni prima, ma pur volendo ipotizzare che la morte sia stata soltanto inscenata e che Giuseppe di Arimatea, complice, si sia recato da Pilato a reclamarne anzitempo il corpo per portarlo nel sepolcro e “rianimarlo” in gran segreto (come molti, tra cui il citato Gardner e il trio Baigent-Leigh-Lincoln del “Santo Graal”, hanno supposto analizzando le decine e decine di anomalie contenute nei racconti evangelici della Passione), i conti continuano a non tornare. Nessuna cronaca inglese, né storica, né leggendaria, ha mai citato la presenza di un Gesù adulto in Britannia, mentre fioriscono le leggende sulla presenza di un Gesù ancora adolescente.

L’unica spiegazione logica è che il piccolo Gesù non sia il Gesù noto come il Cristo, figlio di Maria e di Giuseppe, ma suo figlio primogenito, Gesù il Giusto (chiamato spesso Gais nei romanzi del Graal), avuto da Maria Maddalena. Così come è allora logico che Giuseppe di Arimatea fosse giustamente suo zio (cioè quel Giacomo, “fratello di Gesù”, detto “il Giusto”), quindi non lo zio di Maria. A questo punto tutto torna: Giacomo il Giusto nacque nel I secolo d.C. e nel 63 d.C. aveva una discreta ma non veneranda età, ed poteva benissimo essere campato un’altra ventina di anni predicando in Inghilterra. Dopo la morte di Gesù Cristo avrebbe sicuramente potuto prendere in affidamento il giovane nipote, Gesù Giusto, assumendo il titolo onorifico di Giuseppe, come si conveniva nelle successioni davidiche.

Maria Maddalena
Maria Maddalena

Aveva quindi costruito la piccola chiesa di canne e fango ed il piccolo Gesù l’aveva fatta dedicare a sua madre, Maria Maddalena. Ad ulteriore rinforzo di questa ipotesi, proprio in quell’anno (il 63) la Maddalena moriva nella sua grotta alla Sainte Baume, dove si era ritirata, vicino Aix-en-Provence, secondo quanto riferisce il monaco benedettino Matthew Paris nelle “Chronica Majora”. Un tributo, dunque, tutto dovuto, di un figlio devoto alla madre appena deceduta, molto più credibile di una dedicazione a Maria Vergine a 15 anni dalla sua assunzione e a secoli di distanza prima che il suo culto cominciasse a diffondersi e le chiese cominciassero a venirle dedicate.

La Lady's Chappel
La Lady’s Chappel

Così questa semplice pietra iscritta inserita nel muro dell’edificio, che fu tanto venerata nel periodo medievale, potrebbe costituire quel “Secretum Domini“, il “Segreto del Signore” custodito a Glastonbury, così come citato nel Domesday Book.

Da brividi, vero? Lasciamo ora queste controverse (e pericolosamente eretiche) tesi per spingerci in qualcosa di più easy, ma che fin dal medioevo ha ammaliato bambini e adulti.

Le leggende arturiane

Dal XII secolo King Arthur divenne la figura centrale di uno dei grandi cicli della letteratura europea medievale: i romanzi arturiani. Questi hanno la loro origine nella fantasiosa “Storia dei re di Gran Bretagna” di Geoffrey of Monmouth, completata nel 1138. Il racconto di Geoffrey fornì molti degli elementi della storia, dal concepimento di Arthur a Tintàgel all’ultima battaglia contro Mordred a Camlann e il riposo finale nell’isola di Avalon. Vi ricordate che vi avevamo detto di segnarvi come veniva chiamata Glastonbury Tor dai celti ovvero “Isola di vetro”. Più tardi, i Britanni la appellarono Ynys yr Afalon (“Isola di Avalon”, probabilmente con il significato di “Isola delle mele”). Ed ecco che il collegamento è presto fatto: già dal XII e XIII secolo molti scrittori, individuarono in Glastonbury la Avalon del ciclo arturiano. Il ritrovamento della tomba del mitico re e della sua consorte non fecero che rafforzare la tesi.

La corte di Re Artù
La Corte di Re Artù

La tomba di Artù e Ginevra

Dopo l’incendio del 1184 la ricostruzione della chiesa procedeva a rilento, soprattutto a causa dei finanziamenti insufficienti. Ma ecco che qualche anno dopo, una “fortuna” inaspettata capitò ai solerti monaci di Glastonbury: secondo quanto racconta il cronista Giraldus Cambrensis, sotto la guida dell’abate Henry de Sullyn, durante uno scavo effettuato al di sotto del pavimento della cattedrale, venne alla luce un sepolcro interrato del quale nessuno era a conoscenza.

Al suo interno venne ritrovata una cassa di quercia con all’interno due scheletri: uno apparteneva ad un uomo straordinariamente alto, mentre l’altro era chiaramente quello di una donna minuta, di cui ancora si conservava la folta capigliatura. Insieme alle ossa fu ritrovata una croce di piombo che riportava la seguente iscrizione: “Hic jacet sepultus inclitus rex Arthurus in insula Avalonia cum uxore sua secunda Wenneveria” (“Qui giace sepolto il famoso re Artù nell’Isola di Avalon con la sua seconda moglie Ginevra”).

La targa che indica il luogo di sepoltura di King Arthur

Le autorità ecclesiastiche, tuttavia, non gradirono l’accenno a Ginevra come “seconda moglie” di Artù, per cui decretarono che il cartiglio, e l’annessa scoperta, dovevano essere falsi. I monaci, però, non si persero d’animo. Poco tempo dopo rettificarono la loro scoperta, presentando un nuovo cartiglio nel quale era stato tolto ogni riferimento a Ginevra: “Hic jacet sepultus inclitus rex Arthurus in insula Avalonia” (“Qui giace sepolto il famoso re Artù nell’Isola di Avalon“).

Dunque, non solo i monaci avevano trovato i resti del leggendario re Artù, ma avevano persino scoperto una prova scritta dell’associazione tra Glastonbury e la mitica terra di Avalon! La cosa, in realtà, non era così ovvia: il cronista Guglielmo di Malmesbury, in proposito, aveva scritto nelle sue “Gesta Regum Anglorum” del 1127 che il corpo di re Artù, dopo la battaglia di Camba, era stato portato ad Avalon per la sepoltura, e non specifica dove si trovasse questa mitica terra. Inoltre, egli asserisce che la sua tomba non poteva essere vista da nessuna parte.

Ad ogni modo, l’espediente dei monaci funzionò, ed un notevole afflusso di pellegrini amplificò le entrate dell’abate.

Il vizietto

Pare anche però, che i monaci ci abbiano preso gusto ed alzarono il tiro. Qualche tempo dopo, i santi uomini si armarono nuovamente di pale e di vanghe e, scavando in altri punti dell’abbazia, s’imbatterono in reliquie ancora più importanti, stavolta i resti di alcuni santi: le ossa di San Patrizio e di San Gildas, e persino i resti di San Dunstano, nonostante fosse già noto che essi riposavano all’interno della Cattedrale di Canterbury da almeno 200 anni! Dei geni, vero?

In breve, tra le reliquie trovate dai monaci e quelle lasciate in consegna dai visitatori, Glastonbury Abbey al tempo della Riforma poteva vantare un corposo tesoro sacro che annoverava, oltre alle reliquie già citate, anche un frammento della veste della Vergine Maria, un frammento della verga di Aronne, un paio di ampolle che erano appartenute a Giuseppe di Arimatea (ed in cui, si diceva, egli avesse conservato il sangue e il sudore deterso dal corpo di Gesù dopo la deposizione della croce) e persino una pietra del deserto che Gesù aveva rifiutato di trasformare in pane! Perché poi?

Il luogo dove furono seppelliti i resti di Artù e Ginevra

La Dissoluzione dei Monasteri nel 1539 pose fine alla prosperità dell’abbazia. Dopo la distruzione degli edifici monastici, tutte le reliquie scomparvero per sempre, inclusa la croce di piombo con l’iscrizione. Tutto ciò che oggi rimane è un cartello ed un’area delineata da una cornice di pietra che segnala il sito nel quale, nel XIII secolo, era stata collocata la tomba di marmo nero contenente i resti di re Artù in una posizione privilegiata davanti l’altare principale.

Se siete riusciti ad arrivare in fondo a questo articolo, allora non potete non andare a verificare di persona se le vibrazioni che Glastonbury Abbey regala siano così potenti come noi le abbiamo percepite. Il buon senso ci diceva che probabilmente molti dei miti che circondano l’abbazia di Glastonbury furono, almeno parzialmente, creati o propagati sia in epoca medievale che moderna. Tuttavia, a Glastonbury, le persone rispondono a livello personale al luogo e alle sue risonanze storiche, leggendarie e spirituali. E nel nostro viaggio in Cornovaglia, questo posto, come Avebury e Tintàgel Castle sono stati una vera fonte d’ispirazione.

Ancora una volta trovate qui sotto il link della pagina web ufficiale per visitare l’abbazia: https://www.glastonburyabbey.com/

Se invece volete vedere il viaggio che io e Rusch abbiamo intrappreso in Cornovaglia, non perdetevi il video-diario sul nostro canale youtube: https://www.youtube.com/watch?v=JBwfSEx3h2s&t=8s

I media

L’attrezzatura che abbiamo usato per documentare la nostra visita è composta da:

Frankie

Ciao, mi chiamo Francesca, per gli amici Frankie. Sono una persona che ama viaggiare e lo faccio come posso, secondo le mie disponibilità di tempo e di denaro. Amo viaggiare e amo scegliere cosa fare dei miei viaggi, senza dover rendere conto a nessuno se non al mio umore, al clima ed al cuore. Pochi sono i compagni che ho scelto, ma il migliore di tutti ha quattro zampe ed una coda scodinzolante.

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